L'anoressia nervosa
Diffusa soprattutto tra le adolescenti, l’anoressia nervosa si distingue da quella temporanea, indotta da malattie o preoccupazioni, per la sua origine diversa: il controllo quasi fobico del cibo si sviluppa, infatti, in seguito ad una percezione deviante del proprio corpo e del proprio ruolo, che vengono ritenuti poco gradevoli e non adeguati.
Lo scopo di una giovane anoressica è quello di trasformarsi non soltanto nell’aspetto, ma anche nel modo di sentire e nel destino a cui la femminilità sembra orientarla: il corpo deve perdere la materialità tipica della specie, acquistando una forma sempre più eterea.
Talvolta il movente può essere rintracciato negli esempi forniti dalla moda o dalla pubblicità, ma più spesso dovremmo cercare altrove le ragioni di questa voglia ossessiva (dimagrire, fino a limitare la figura al contorno di un abito o al guizzo di un movimento). Spesso prevale una volontà ribelle dagli esiti autodistruttivi, che si manifesta come ansia di evasione dai confini angusti del destino biologico e culturale che attende la donna.
Anche qualche ragazzo può incorrere nell’anoressia, per cause non troppo diverse: scegliere di diventare sempre più esile, quindi rifiutare muscoli e forza fisica, significa sottrarsi al gioco del bullismo e della violenza da infliggere (moderno rito iniziatico); significa venir meno alle responsabilità e alle ambiguità di ruoli ancora da definire; significa rimandare il tempo delle scelte “virili” e le delusioni che possono derivarne.
Le famiglie devono attivarsi per scongiurare le conseguenze più gravi dell’anoressia nervosa: prima ancora che gli effetti fisici siano irreversibili (amenorrea, perdita dello stimolo a nutrirsi anche in quantità minima, scomparsa della fame – presente nella fase iniziale), e prima che le facoltà di concentrazione e apprendimento siano compromesse, occorrerà chiedere aiuto alle apposite strutture mediche, anche ambulatoriali, affiancando agli interventi delle équipe specialistiche un’adeguata psicoterapia, sia individuale che di gruppo.
Il metodo sistemico, in particolare, non fermandosi all’indagine riguardante il singolo, ma estendendo il suo campo di intervento alla prospettiva familiare, può fornire spunti di riflessione e suggerire metodi di intervento non limitati al sintomo, ma di portata più ampia e di effetto più durevole.